Qualche domanda a...
Claudio Ferrari
Professore ordinario presso l’Università degli Studi di Genova (dipartimento di economia) e coordinatore del dottorato di ricerca in “Logistica e Trasporti”.

Quali sono, secondo Lei, i principali punti di forza e quali le principali debolezze del collegamento autostradale tra Liguria e Alpi Marittime?
Il principale punto di forza è la sua esistenza. Aldilà di questo, il collegamento autostradale è abbastanza problematico non tanto per una carenza autostradale (seppur presente), quanto perché di fatto è l’unico esistente: l’autostrada Genova-Ventimiglia, che poi prosegue verso la Francia, è l’unica arteria a grande percorrenza.
La ferrovia, infatti, presenta diverse criticità, in particolare la mancanza del raddoppio, che rende particolarmente complicato muoversi su quel versante via treno. L’unica alternativa possibile realisticamente è la strada.
Su percorsi più lunghi esiste un’alternativa, quella marittima, che però diventa conveniente solo se si superano determinate distanze. Se si resta sotto di esse, come per i collegamenti tra Liguria e Costa Azzurra, un servizio di questo tipo è difficile da immaginare e, fondamentalmente, strada e autostrada rappresentano l’unica infrastruttura utilizzabile.
Spostandosi verso nord, ci sarebbe il collegamento del Tenda, sul quale però è prevista una serie di lavori, ormai nell’elenco dei progetti da realizzare da lungo tempo. Un'altra criticità della rete infrastrutturale è, infatti, anche l’inerzia e la lentezza dei lavori.
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Alla luce delle principali criticità, quali sono le soluzioni auspicabili, sia in termini di costi che di fattibilità?
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Da entrambi i punti di vista, anche per quanto riguarda i costi, la cosa forse più “semplice” sarebbe quella di terminare ciò che si è iniziato. Infatti, i benefici di un’infrastruttura di trasporto sono massimi nel momento in cui questa infrastruttura è completa. “Semplice” non è il termine esatto perché si tratta comunque di opere costose, però, se si lavora nell’ottica di massimizzare i benefici, terminare alcune di queste opere potrebbe raggiungere quello scopo.
Un esempio è lo spostamento della linea ferroviaria della Liguria di Ponente: fino a quando il progetto non sarà completato, l’infrastruttura si potrà certamente usare, come già avviene oggi, ma in parte i benefici di quest’opera andranno persi, proprio perché viene ritardato da troppo tempo il suo completamento.
Un altro aspetto, che non ha a che fare con investimenti monetari ma che potrebbe portare ad alcuni benefici, è una forma di coordinamento tra i gestori delle grandi infrastrutture (Rete Ferroviaria Italiana e gestori autostradali) nei lavori di manutenzione. Infatti, spesso accade che nel momento in cui si lavora sulla linea ferroviaria si lavori contemporaneamente anche sull’autostrada, banalizzando la circolazione. Riuscire a trovare un tavolo o avere un meccanismo che permetta eventualmente di rimandare, se possibile, determinati lavori (perché stiamo già in qualche modo intervenendo sulla zona geografica interessata dalle infrastrutture) potrebbe generare qualche vantaggio.
Ad esempio, se prendiamo in considerazione la Liguria di Levante, da quando è caduto il Ponte Morandi ci sono state più volte situazioni in cui si lavorava sullo stesso tratto sia sulle ferrovie che sull’autostrada.
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Per la metà del 2024 è atteso l’inizio dei lavori per la costruzione della Gronda di Genova. Facendo un’analisi costi-benefici, ritiene che i vantaggi dell’infrastruttura siano congrui alla luce dei costi?
Come per tutte le opere, per poter rispondere servirebbe una conoscenza completa del futuro, che per definizione è inconoscibile. Si possono fare delle considerazioni che devono fare sempre i conti con la realtà.
Possiamo dire che la scelta di quel tracciato è avvenuta in un momento abbastanza lontano da quando si apriranno effettivamente i cantieri. Il rischio è quello che alcuni paventano con riferimento ad altri tipi di opere (pensiamo ad esempio alla Torino-Lione): quello di costruire un’opera che, quando veramente sarà a disposizione, sarà un’opera che era stata pensata per un contesto e per una serie di movimentazioni che riflettono situazioni passate.
Relativamente alla Gronda, non possiamo dire che Genova non abbia bisogno di una sorta di “bypass” stradale: questo è innegabile. Abbiamo visto, in parte anche quando è crollato il Ponte Morandi, quanto quell’infrastruttura che non era nata per servire la mobilità urbana, in realtà ha poi pesato proprio su quel tipo di mobilità.
Il primo limite della Gronda è la scelta del tracciato, che è avvenuta a seguito della prima esperienza di dibattito pubblico in Italia quando ancora non era obbligatorio (adesso in qualche modo per le grandi opere è diventato tale). Il problema è che, quando è avvenuto questo dibattito pubblico, si è chiesto alla cittadinanza di esprimersi sui diversi tracciati senza che vi fosse un’idea dei costi relativi alle diverse alternative. Quindi è stato scelto quello più lontano dalla costa, anche perché è quello che ha il minore impatto sui residenti nelle aree toccate da questa infrastruttura.
Il rischio principale è di non riuscire ad intercettare tutti i traffici che questa infrastruttura, che dovrebbe proprio servire a decongestionare il nodo autostradale, dovrebbe intercettare.
Vale la pena aggiungere che la capacità e il tipo di traffici che questa infrastruttura potrà intercettare dipende molto anche da come si connetterà con il resto dell’infrastruttura e con la viabilità cittadina. Quante maggiori sono le possibilità di ingresso/uscita e di interconnessione, tanto maggiore è la probabilità che parte del traffico scelga quella infrastruttura.